“Regaliamo le tigri”: l’assurda proposta provocatoria del premier del Nepal

Un suono scuote il Nepal, ma non è quello di una tigre nella giungla. A levarsi è la voce del primo ministro, KP Sharma Oli, che mette in discussione un importante traguardo ambientale raggiunto dal Paese: aver triplicato la popolazione di tigri negli ultimi 15 anni. “Troppe”, tuona Oli, preoccupato per l’aumento degli attacchi all’uomo....

Gen 21, 2025 - 11:28
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“Regaliamo le tigri”: l’assurda proposta provocatoria del premier del Nepal

Un suono scuote il Nepal, ma non è quello di una tigre nella giungla. A levarsi è la voce del primo ministro, KP Sharma Oli, che mette in discussione un importante traguardo ambientale raggiunto dal Paese: aver triplicato la popolazione di tigri negli ultimi 15 anni. “Troppe”, tuona Oli, preoccupato per l’aumento degli attacchi all’uomo. Ma è davvero un problema di “eccesso” di felini, o piuttosto di gestione del territorio? Mentre il dibattito è stato aperto, il Nepal si trova a un bivio: come conciliare la conservazione della biodiversità con le esigenze di sviluppo e la sicurezza delle comunità?

Il Nepal è stato celebrato in tutto il mondo per aver aumentato in modo inatteso il numero di tigri selvatiche, passate da circa 121 nel 2010 a oltre 350 nel 2022. Secondo alcuni dati governativi, il Paese asiatico è riuscito addirittura a toccare quota 355 esemplari. Questi risultati, raggiunti grazie a serrati controlli contro il bracconaggio e a un’estesa opera di riforestazione, hanno posto il Nepal all’avanguardia nel panorama internazionale della conservazione.

Allo stesso modo, la copertura forestale nepalese è quasi raddoppiata, salendo fino al 44% nel corso di pochi decenni e contribuendo ad ospitare non solo tigri, ma anche rinoceronti, elefanti, antilopi e molti altri animali che fanno parte di un ecosistema ricchissimo.

Eppure, non tutti esultano di fronte a questi risultati. Il primo ministro KP Sharma Oli ha più volte espresso la propria perplessità, sostenendo che la popolazione dei grandi felini sia ormai al di sopra di quanto il Nepal possa gestire. “In un Paese così piccolo, abbiamo più di 350 tigri… Non possiamo avere così tante tigri e lasciare che divorino gli esseri umani”, ha dichiarato lo scorso dicembre. Secondo Oli, il numero ideale dovrebbe aggirarsi intorno alle 150 tigri, così da ridurre il rischio di attacchi alle comunità e danni al bestiame.

Le cifre ufficiali parlano di una quarantina di vittime e quindici feriti dal 2019 al 2023, ma alcune organizzazioni locali sostengono che i numeri reali sarebbero più alti. Per limitare gli incontri pericolosi, Oli ha persino avanzato la proposta di inviare le tigri del Nepal all’estero, definendola una forma di “diplomazia” che potrebbe favorire anche le relazioni con altri Paesi.

Il fenomeno dei conflitti uomo-tigre si concentra spesso nelle cosiddette “zone cuscinetto”, aree a ridosso dei parchi nazionali dove le comunità locali si approvvigionano di legna, foraggio e acqua, e contengono il pascolo del bestiame. Inoltre, i “corridoi forestali” che collegano riserve e parchi nazionali, pur essendo fondamentali per la mobilità delle tigri e delle altre specie, rappresentano un punto di contatto critico: quando gli animali si spingono al di fuori delle aree protette in cerca di cibo, aumentano gli scontri con le persone.

Secondo alcuni esperti, per gestire efficacemente i grandi felini occorrerebbe ampliare proprio le aree protette e garantire una solida base di preda. “Idealmente, ogni tigre dovrebbe trovarsi nelle vicinanze di circa 500 animali da preda”, ha spiegato alla BBC il biologo delle tigri Ullas Karanth, insistendo sull’idea che la priorità sia la creazione di habitat adatti più che la riduzione forzata dei felini.

Le dichiarazioni di Oli si inseriscono in un contesto più ampio di pressioni politiche sul settore ambientale: il governo nepalese ha già autorizzato la costruzione di grandi infrastrutture in zona prima tutelate, come centrali idroelettriche e hotel, scatenando le proteste di ambientalisti, comunità indigene e avvocati.

Lo stesso primo ministro non ha mancato di gettare dubbi sui livelli di copertura forestale, giudicando eccessivo l’attuale 44% e auspicando un calo al 30%. Si tratta di una posizione che stride con gli impegni internazionali presi dal Nepal, elogiato per la sua strategia di difesa della biodiversità e di coinvolgimento delle comunità locali nella tutela del territorio.

Nonostante il crescente malcontento per gli attacchi, la maggior parte delle persone che vivono ai margini delle foreste ha comunque contribuito a far sì che il Nepal fosse inserito tra le “World Restoration Flagship” delle Nazioni Unite. Il riconoscimento premia l’iniziativa del Terai Arc Landscape, un’area transfrontaliera tra India e Nepal, dove “sono stati riportati in vita 66.800 ettari di foresta, triplicando la popolazione di tigri e offrendo sostentamento a quasi 500.000 famiglie”.

Questo progetto, basato su cooperazione e gestione condivisa tra governo, comunità e gruppi ambientalisti, dimostra come la tutela della natura possa generare benefici economici e sociali. Il Terai Arc Landscape non è soltanto un corridoio di biodiversità, ma anche una prova concreta dell’approccio “persone e natura insieme”, considerato essenziale per affrontare le sfide globali legate al cambiamento climatico.

Se da un lato il primo ministro Oli tira il freno sulla crescita demografica delle tigri e sulla riforestazione, dall’altro la Corte Suprema sta valutando una petizione contro le recenti modifiche che consentono di costruire infrastrutture su larga scala in aree protette. La sentenza definitiva, che era attesa a fine 2024 ma poi posticipata, potrebbe segnare una svolta nell’orientamento della politica ambientale del Paese.

Nel frattempo, il successo della conservazione in Nepal continua a fare scuola, anche se insidiato dall’aumento di attacchi e dall’uso del suolo che avanza su corridoi e zone cuscinetto. Rimane incerta la proposta di Oli di regalare tigri all’estero, così come la vera soluzione per garantire che uomini e felini imparino a convivere in sicurezza. Ma una cosa è chiara: la straordinaria rinascita della tigre e delle foreste nepalesi ha aperto uno scenario di sfide complesse, in cui ecologia e interesse economico si scontrano in un dibattito sempre più aspro.

Nel 2024, lo stesso KP Sharma Oli ha sintetizzato l’evoluzione di questo panorama con una frase che ha scatenato ulteriori polemiche: “Meno tigri, meno foreste”. La domanda che risuona adesso tra ambientalisti e comunità è se davvero ridurre il numero di grandi felini e diminuire la copertura boschiva possono rappresentare la giusta strategia per uno sviluppo sostenibile. La partita rimane aperta, e il Nepal, suo malgrado, è diventato il simbolo vivente di un difficile equilibrio tra protezione dell’ambiente e crescita economica.

I progetti di conservazione delle tigri e di gestione sostenibile delle foreste in Nepal, come l’iniziativa Terai Arc Landscape, hanno dimostrato un impatto positivo non solo sulla biodiversità, ma anche sul benessere delle comunità locali. La tutela delle foreste e della fauna selvatica ha generato opportunità di lavoro, migliorato la qualità dell’aria e dell’acqua e contribuito a mitigare gli effetti del cambiamento climatico.

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