Marco Rettani, autore del libro ‘Ho vinto il Festival di Sanremo’: “È lo specchio del nostro paese, attraverso i vincitori riconosci l’Italia che cambia. Conti ha scelto un cast stellare”

Il suo sogno è quello di vincere un giorno il Festival di Sanremo e, nell’attesa, Marco Rettani ha scritto un libro su chi ci è riuscito. ‘Ho vinto il Festival di Sanremo‘ è infatti il titolo della sua opera, scritta con Nico Donvito, che racconta le emozioni di chi ha trionfato nel corso degli anni. […]

Gen 14, 2025 - 10:53
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Marco Rettani, autore del libro ‘Ho vinto il Festival di Sanremo’: “È lo specchio del nostro paese, attraverso i vincitori riconosci l’Italia che cambia. Conti ha scelto un cast stellare”
marco rettani ho vinto il festival di sanremo

Il suo sogno è quello di vincere un giorno il Festival di Sanremo e, nell’attesa, Marco Rettani ha scritto un libro su chi ci è riuscito. ‘Ho vinto il Festival di Sanremo‘ è infatti il titolo della sua opera, scritta con Nico Donvito, che racconta le emozioni di chi ha trionfato nel corso degli anni. Ora, in occasione della 75esima edizione, arriva la ristampa del libro con quattro nuovi capitoli, per un totale di 34 vincitori che si sono portati a casa il Leoncino rampante sulla Palma.

Il libro è inoltre impreziosito dalla prefazione di Carlo Conti, da una lettera di Pippo Baudo e da una postfazione di Amadeus. Noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato Marco Rettani, uno degli autori di “Ho vinto il Festival di Sanremo – Special edition 75esimo Sanremo”, in uscita dal 15 gennaio 2025 sia in formato cartaceo che digitale.

Con lo scrittore e compositore e discografico, che ha collaborato negli anni con Patty Pravo, Laura Pausini, Alessandra Amoroso, Orietta Berti, Noemi, Bianca Atzei, Arisa (solo per citarne alcuni), abbiamo parlato del libro ma anche e soprattutto di musica. È la musica, infatti, il motore della sua vita, colei che lo alimenta e lo guida lungo un cammino che incrocia più volte il Festival di Sanremo.

Intervista a Marco Rettani, autore di ‘Ho vinto il Festival di Sanremo’

Lei si occupa da anni di musica. Come è nata l’idea di scrivere un libro sugli artisti che hanno vinto Sanremo e di farlo insieme a Nico Donvito?

“Sì, mi occupo da sempre di musica in libri e canzoni. Ho scritto anche romanzi ma il mio punto di riferimento è la musica. Nico è un giornalista che si occupa anche lui di musica, fa parte degli addetti ai lavori, quindi è da anni che ci incontriamo a varie manifestazioni. Siamo diventati amici e abbiamo iniziato a collaborare. Abbiamo già scritto altri libri insieme, ad esempio ‘Canzoni nel cassetto’ qualche anno fa, che raccontava della vita delle canzoni quando sono ancora nel cassetto degli autori.

Siamo due appassionati del Festival di Sanremo, due che ce l’hanno nel cuore. Lui perché lo frequenta da addetto ai lavori come giornalista, io perché mi capita di frequentarlo, fortunatamente, anche sul palco. Ho scritto dei pezzi che sono stati cantati sul palco dell’Ariston, ho fatto il manager di cantanti che sono andati là sopra. Ho fatto il discografico e il mio sogno è di poter dire, un giorno forse, ho vinto il Festival di Sanremo. Nel frattempo questo titolo me lo sono scritto su un libro, in collaborazione ovviamente con Nico, e nell’attesa di vincerlo, siamo andati a cercare chi il Festival l’ha vinto veramente. Cioè quegli artisti che nell’arco dei 75 anni hanno calcato quel palco e hanno portato a casa il leoncino rampante sulla palma”.

Qual è stato il criterio con cui ha scelto le storie da raccontare e le domande da porre tipo: dove è finito il leoncino? Appunto perché c’è questa domanda che caratterizza ognuna delle 34 storie.

“Intanto tutti questi artisti sono innamorati, almeno quanto noi, del Festival ma non perché l’hanno vinto. È evidente ma non è così scontato, c’è questa infatuazione, innamoramento per il Festival e quindi anche un po’ la ricerca di dov’è la statuetta, dov’è conservata. Quasi tutti se la conservano nel luogo della loro quotidianità: nello studio, nel salotto, nel posto dove tutti i giorni possono avere un contatto visivo. Ci piaceva questa idea che il leoncino, simbolo della vittoria del Festival, fosse sempre attaccato alla vita di chi poi l’ha vinto. Ci sono state 75 edizioni e noi abbiamo fatto un libro con 34 vincitori, già un libro di 450 pagine che pesa un chilo era complicato.

Poi di questi 75 vincitori, alcuni non ci sono più. Noi abbiamo coperto tutto l’arco della vita del Festival: il primo vincitore che ci può parlare di averlo vinto è stato Tony Dallara che vince nel 1960 con ‘Tu sei romantica’ in coppia con Renato Raschel. L’ultimo capitolo invece è quello più recente di Angelina Mango che ci ha raccontato la sua vittoria e di dove è finito il leoncino. Può sembrare la ragazzina che certamente non è cresciuta a pane e Sanremo ma anche lei il leoncino se lo conserva nel posto della sua quotidianità, è diventato già un suo punto di riferimento. Raccontare dove è finito il Leoncino, è un escamotage molto carino per legare tutti gli artisti del libro.

Poi il leoncino non c’è da subito, quel premio arriva solo nel ’67. Prima c’era il piatto d’argento, c’era il vaso in ceramica. Chi ha fatto quell’edizione prima, tipo Tony Dallara, non ce l’ha perché non c’era. Inizia con Iva Zanicchi che vince nel ’67 e da lei in avanti tutti l’hanno conservato in qualche posto. C’è stato anche chi ha provato a rubarlo, ma poi l’hanno ritrovato”.

Marco Rettani, il 15 gennaio uscirà la ristampa del libro ‘Ho vinto il Festival di Sanremo – Special edition 75esimo Sanremo’ che contiene quattro nuovi capitoli (sulla Cinguetti, Mango, Al Bano e Vecchioni). Ce ne parla? 

“Sono stati introdotti questi quattro nuovi capitoli intanto perché li avremmo voluti anche prima. Questo libro non è un almanacco, una fredda sequenza di numeri, classifiche, autori, dischi ma è proprio un racconto personale a tête-à-tête con gli artisti che ci raccontano tranquillamente il loro Sanremo, la loro vita e la loro vita attorcigliata intorno al Festival. Quindi bisogna avere la disponibilità dell’artista: un pomeriggio, una giornata, un weekend per poter tirare giù un capitolo che racconta di aneddoti e che è facilmente leggibile perché ogni capitolo ovviamente è a sé stante. Se c’è qualcuno che ti è antipatico, lo salti (ride, ndr).

Ovviamente sono capitoli, racconti di situazioni, di che cosa ha portato alla nascita di un certo pezzo, come ci è arrivato, come è stato creato. E anche di incontri perché poi vincere il Festival di Sanremo è una specie di incrocio planetario di Stelle. Molto spesso arrivi come favorito e vinci ma in molti casi arrivi come favorito e vince un altro che porta una novità. Angelina Mango non era certamente tra le favorite, adesso ci sembra impossibile che non abbia vinto lei. Nel 2020, l’edizione di Diodato, successe la stessa cosa: arrivava con ‘Rumore’, una canzone bellissima ma era assolutamente un outsider.

Ora ciò sembra impossibile perché è una canzone che è rimasta nella storia. Vuoi anche per quello che poi accade subito dopo, a fine febbraio, il covid e il lockdown. E la sua era una delle canzoni cantate, è quindi una canzone che parte da un episodio sfortunato ma che poi è rimasta nella storia delle persone che l’hanno incontrata”.

Oltre alla vittoria, c’è un elemento comune nelle storie degli artisti o emergono le differenze generazioni, dei gusti musicali e dei cambiamenti del paese? 

“È proprio questo il punto. Io sono sicuro del fatto che il Festival di Sanremo è lo specchio del nostro paese, riflette 75 anni, quelli che ci ricordiamo meglio a seconda delle varie età. Mostra un paese che cresce, nasce nel ’51 quindi nell’immediato dopoguerra e tu attraverso l’evoluzione del Festival, attraverso i suoi vincitori, riconosci l’Italia che cambia. Nel ’58 arriva Modugno che spalanca le braccia e canta ‘Volare’, quell’anno cambia il senso della musica e del modo di fare canzoni di allora. Perché prima del ’58, le canzoni erano tutte su patria, Madre, amore. Non c’era il concetto della canzone moderna, e nel ’58 è il momento in cui l’Italia inizia a rialzare la testa per arrivare nel boom degli anni ’60.

Dai Festival in bianco e nero a quelli della felicità: Bobby Solo, Iva Zanicchi, Little Tony, cioè quegli anni lì te li ricordi perché c’è un’Italia che cresce, un’Italia che vuole parlare come Gigliola Cinquetti, la bambina che canta ‘Non ho l’età’. Per arrivare agli anni ’70 che sono anni bui, sia per il Festival che per l’Italia, cioè c’è il terrorismo, il Festival sta per morire per poi rinascere negli anni ’80 con il nuovo boom della Milano da bere. Anche lì, gli interpreti di quella generazione, Eros Ramazzotti, I Ricchi e i Poveri.

Il Festival ci racconta che cosa è successo in Italia, l’evoluzione del costume, della storia, dello spettacolo ma anche della cultura italiana. Io faccio spesso un gioco: collego un anno preciso ad una vittoria, tu quando sei nata?”.

Nel 1988.

“Bene e chi ha vinto nell’88? ‘Perdere l’amore’ di Massimo Ranieri. Io a quel punto so benissimo che cosa è successo nell’1988. Vedo Massimo Ranieri che canta ‘Perdere l’amore’
e mi ricordo che cosa è successo in quegli anni in Italia perché è una specie di cancello della memoria che mi porta dentro l’anno ed è meraviglioso. Senza questo tipo di riferimento, ogni ricordo è confuso nel tempo invece io mi ricordo che purtroppo ero già grande, mi sono laureato. Mi ricordo dove l’ho visto il Festival”.

A proposito di questo, lei ha ottenuto anche il Premio Speciale Gianni Ravera per il suo impegno nella divulgazione storica del Festival. Cosa significa per lei il Festival di Sanremo?

“Intanto già nella copertina, oltre a Gianni Ravera che simbolicamente ci ha dato questo premio perché è un premio alla letteratura, sulla copertina c’è la prefazione di Carlo Conti, una lettera al Festival di Pippo Baudo e una postfazione, un saluto, di Amadeus.

Sono racchiusi, solo su quella copertina, il gota dei direttori artistici, di quelli che hanno cambiato e sostenuto la vita del Festival. Gianni Ravera che si inventa il Festival 2.0, che eredita già negli anni ’70 per poi arrivare a mister Festival, Pippo Baudo, che prende un Festival che sta per morire e nelle sue innumerevoli edizioni lo fa diventare la messa laica del popolo italiana. Grazie a Pippo Baudo, alle signore, grazie al suo modo di scoprire i talenti e di fare il direttore artistico mettendo bocca sui pezzi, cosa che poi hanno fatto anche recentemente Carlo Conti e Amadeus. Non si limitano a fare il selezionatore di canzoni ma sono un tecnico che dà consigli o un abbinamento.

Per esempio Carlo Conti trovò per Il Volo una canzone in gara che era stata presentata nei giovani, ‘Grande amore’, e riuscì a fare una combinazione tra i manager di spostare quella canzone su Il Volo. Adesso il Volo sembra facile da dire, ma allora non aveva nemmeno mai cantato un inedito, era il 2015. E cantano un pezzo che è rimasto nella storia della musica italiana grazie a un’intuizione del direttore artistico. Quindi avere su quella copertina i 4 nomi che hanno fatto, che hanno dato, un senso al Festival della canzone italiana è un immenso onore”.

Marco Rettani, il libro ‘Ho vinto il Festival di Sanremo’ infatti è impreziosito dalle testimonianze di Carlo Conti nella prefazione, Amadeus con la postfazione (da lei citati) e da Pippo Baudo con una lettera.

“È un’emozione avere una lettera di Pippo Baudo, che è un proprio una lettera d’Amore al Festival di Sanremo. Una lettera che puoi scrivere a una fidanzata, a una moglie, a una compagna di vita. Lui si rivolge al Festival proprio come un amante, lo ringrazia per aver condiviso con lui la sua intera esistenza artistica, professionale ma anche umana. È Pippo Baudo che si è inventato il modo di fare spettacolo in TV perché si è cavalcato quell’onda e il Festival di Sanremo deve tanto a Pippo come Pippo deve tanto al Festival”.

Qual è stata la vittoria, nel corso di queste 75 edizioni, che l’ha colpita di più. Oltre ai Sanremo dove ha partecipato come autore.

“Il punto è questo, non ovviamente i Festival recenti ma gli ultimi vent’anni me li sono vissuti da Sanremo, da dietro le quinte, dal palco. È diverso, sono diversi gli approcci, le valutazione a seconda di dove sei perché per assurdo quando sei là, lo vivi pure di meno perché non lo vedi. Nel senso che se tu hai un artista poi tu segui il tuo artista, è quello che succede all’Ariston, quasi te lo raccontano dopo oppure se hai voglia di vederlo, te lo rivedi più tardi in TV. È diverso stare là ed essere in gara, rispetto al fatto di goderselo a casa e non perdersi nulla.

Io sono del ’63 e l’edizione a cui sono più legato è quella del ’77. In quell’anno il Festival di Sanremo passa dal bianco e nero al colore, e passa dalla sala delle feste del casinò all’Ariston. C’è un passaggio epocale del Festival e segna un punto di passaggio: tutto quello che c’è prima del ’77, lo perdi un po’ nella nebbia del bianco e nero, sembrano tutte edizioni uguali. Quando invece nel ’77 inizia il colore, inizia l’Ariston, ogni anno c’è una scenografia creata apposta, sei in grado di distinguere le edizioni. E quella edizione fu vinta dagli Homo Sapiens con una canzone meravigliosa. E quella, ‘Bella da morire’ è la canzone del Festival a cui sono più affezionato. Nel mio archivio dei ricordi è il primo Festival che veramente sento come mio”.

Lei dove prende spunto per scrivere i testi dei suoi brani?

“Dalla vita, quello che ti accade. Spesso mi hanno chiesto quando ho incominciato a scrivere ma in realtà non c’è un momento in cui si comincia a scrivere, è una cosa che si trova dentro di noi. Si scrive perché si osservano le cose, si osserva e si rimane colpiti, si guarda. Si ha una sensibilità probabilmente particolare, più delicata, diversa per cui certe cose che magari passano senza nessun interesse per alcuni, per te no. Sono frasi che senti dire, sensazioni che hai. È vero che sei più predisposto alla scrittura nei momenti un po’ più tristi e bui rispetta quando sei felice e quindi ti capita di trasferire quasi sempre le tue emozioni che sono vive. La felicità è difficile da trasferire, non la riesci a far partecipare mentre le lacrime è più facile perché accomuna tanta gente.

Non c’è un momento in cui scrivere. Io passo la giornata, mi accorgo di cose, fortunatamente adesso ci sono i telefonini e lasci un vocale, un appunto. Sentendo tanta musica e avendo un orecchio un po’ abituato, a volte mi viene in mente una melodia. Tu pensi che è impossibile che te la dimentichi quindi quando hai tempo la scrivi. Prima non c’era nessun strumento, dovevi arrivare a casa e ricordarti la melodia, magari registrartela sul registratore. Puntualmente, dopo 5 minuti, te la dimenticavi. Adesso col telefonino ti lasci il messaggio vocale, il memo vocale ed è molto più facile, non perdi più niente quindi è utile.

In realtà poi l’ispirazione è data dalla vita, è data da quello che fai. Bisognerebbe vivere per poter raccontare le cose, molti non lo fanno. Molti stanno in casa e non vivendo raccontano le cose che hanno sentito dire agli altri ma la gente se ne accorge”.

Tra un mesetto sentiremo in gara a Sanremo un suo brano, ‘Pelle Diamante’, cantato da Marcella Bella. Di cosa parla?

“Marcella ha detto che parla di donne con la pelle dura come il diamante ma allo stesso tempo, con quella preziosità che hanno, parla di donne indipendenti, di donne contemporanee, di donne che hanno conquistato giustamente un posto. Al di là della conquista, la donna così come l’uomo, si deve confrontare con una vita piena di difficoltà, piena di trabocchetti e quindi bisogna essere indipendenti, forti, duri, intraprendenti. Non lasciarsi scalfire dagli ostacoli ma nemmeno dalle storie d’amore. Bisogna guardare avanti e pensare che quella lì è la vita di oggi. Una donna contemporanea, una donna moderna deve avere quella forza e quella consapevolezza in sé per potere affrontare tranquillamente la vita. Pelle diamante perché ha la pelle dura ma anche preziosa perché poi alla fine stiamo parlando di un diamante”.

E invece cosa pensa degli altri big in gara, secondo lei Carlo Conti ha scelto artisti che rispecchiano la musica attuale?

“Io credo sia un cast molto bello, molto importante. Intanto, non è una mia opinione ma un dato oggettivo, non ci sono mai stati così tante certificazioni in gara: dischi d’oro, dischi
di platino. Quindi è evidente che c’è il meglio dell’aspetto commerciale. Non voglio dare valutazioni artistiche perché poi magari c’è chi non vende nulla e fa delle cose ottime ma voglio dire che il cast è stellare.

C’è una quota importante trap-rap, credo che sia un terzo, sono quelli che hanno quel linguaggio che oggi chi fruisce la musica, soprattutto i giovani che sono loro che strimmano, si vogliono sentire dire e vogliono ascoltare. Per cui è giusto che ci siano, non ci deve essere sempre una polemica, se il linguaggio è quello, è quello di un’Italia che si trasforma, che si deve adeguare, deve avere quella sensibilità di capire. Per esempio i rap hanno questo linguaggio che è girato intorno alla visibilità, al money, al sesso”.

Poi ha messo anche due protagonisti che hanno dissing tra loro…

“Appunto, ha messo anche due protagonisti, il fatto di averli portati, un po’ secondo me, si è andato a cercare delle gatte da pelare. Ha creato un interesse, cioè Tony Effe è molto più big oggi da quando è nel cast di Sanremo rispetto a quanto lo era qualche mese fa. C’è tutta una serie di personaggi che sono molto conosciuti nel loro circuito, ma Tony Effe, mia Madre che ha ottant’anni lo conosce da quando è entrato nel cast di Sanremo e si è creata tutta questa polemica. Altrimenti non aveva la minima idea di chi fosse. Questi giovani big acquisiscono quella popolarità che altrimenti non avrebbero, non si sognerebbero di avere.

Guarda Lazza, se avessi detto a mia madre che arrivava secondo sarebbe rimasta sconfortata, lei che si è vista tutte le edizioni. Parlarle di Tony Effe, Lazza e anche Geolier che anche lui era certamente un super venditore anche prima del Festival. Se si guarda le classifiche degli album più venduti, su dieci, una persona non addetta ai lavori ne conosce la metà. Ci sono dei nomi che vendono tantissimo, stream-mano tantissimo, ma non hanno quella popolarità che poi Geolier ha preso. Adesso in Italia credo non c’è nessuno che si interessi un po’ di musica che non sappia chi è Geolier o Lazza. Il cast quest’anno credo sia stellare, sentiremo delle bellissime canzoni”.

Quali sono le sue canzoni nel cassetto, per citare un suo libro, e il suo sogno più grande?

“Il sogno più grande è vincere Sanremo, non c’è nessun dubbio. Il bello di essere autori
è che ci puoi provare ogni anno e ci puoi provare anche con più colpi. Cioè ci sono autori anche quest’anno che hanno in gara 3 o 4 brani e hanno più possibilità di arrivarci in base alla capacità e al talento. Poi se non succede, il libro già l’ho fatto, mi posso anche aspettare che non succeda facilmente.

Invece le canzoni del cassetto sono tantissime perché scrivo canzoni e libri, le tengo nel cassetto. A volte sono commissionate, a volte sono cucite su qualche artista ma in realtà poi le mie canzoni parlano quasi sempre di me. Meno male che sono un autore perché se fossi un cantautore alla quarta canzone mi direbbero che canto sempre le stesse cose. Invece dandole a vari artisti non si accorgono che le parole sono quelle. Per esempio se Ultimo dovesse dare i suoi testi, gli artisti italiani farebbero tutti dei dischi di platino con originalità. Questa è la fortuna dell’autore che puoi scrivere sempre la stessa cosa”.

C’è un artista con il quale le piacerebbe collaborare?

“Sì, ci sono artisti che mi piacciono ma purtroppo sono cantautori e non mi farebbero mai collaborare. In questo libro, uno dei capitoli nuovi è dedicato a Roberto Vecchioni che è il mio faro guida, maestro, professore, dalla notte dei tempi, da quando ho iniziato a scrivere. Il pomeriggio che ho passato con lui per avere la possibilità di scrivere questa capitolo, se sei attento, riesci a raccogliere delle cose che poi ti cambiano non dico la vita ma il modo di osservarle. Quando un uomo come lui, ti dice che è importante la cultura ma la cultura non è sapere i numeri, non è saper le date, non è sapere i nomi. È la cultura che ti arriva dalla vita.

Quando uno che ha fatto tutta la vita a scuola, la scuola di stanza non serve a nulla perché la scuola ti deve insegnare a convivere con i tuoi simili perché poi arriverai alla fine della scuola che hai quella familiarità con gli altri. Se te ne stai a casa a imparare gli egizi fino a 18 anni, poi tu non sai vivere. Queste sono cose che ti spingono a dire sai che bello se potessi scrivere con lui. Ma lui se le scrive da solo.

Io poi sono innamorato di de Gregori, di Lucio Dalla, di quei cantautori che essendo cantautori ovviamente non richiedono la tua collaborazione. Mi piacerebbe scrivere anche con Ultimo perché ha un linguaggio facilmente afferrabile ma complicato, cioè lui è veramente un ragazzo di un’intelligenza di altro livello. Però facendo canzoni ed essendo del ’63, bisogna anche frequentare quel mondo e scrivere insieme ai ragazzi perché il linguaggio cambia. Tu non puoi scrivere con la penna di un sessantenne una canzone per un giovane, la devi scrivere insieme al giovane perché ti sa tradurre nel linguaggio contemporaneo le emozioni.

Oggi un sessantenne farebbe fatica anche solo a leggere un WhatsApp di una ragazza o di un ragazzo di 15 anni perché ci sono abbreviazioni, modi di dire, delle parole che sono degli slang, che o le sai o no. E quindi di colpo ti cali a dover comunicare con uno di questi, o sai la lingua o è inutile che lo fai. Bisogna anche frequentare questi giovani, ti dà un grandissimo vantaggio di tenerti la mente aperta. Non dico che devi tornare giovane, perché quello purtroppo non si può fare, ma di tenere una testa sul mondo contemporaneo.

A me capita spesso di ritrovarmi a cena con miei amici della stessa età. Molto spesso mi chiedono cosa ho da dire a un ragazzo che ha 25 anni. Io ho da dire tantissime cose
soprattutto le ha da dire lui a me, voi non avete più nulla da dire, ci diciamo sempre le stesse cose da trent’anni! Tu impari se scavalchi le generazioni. L’altro giorno sono andato con Crytical (ex Amici, ndr) in macchina. Abbiamo fatto un pezzo insieme per Saremo Giovani e quindi siamo andati a Sanremo, tra l’altro ho vinto il premio al miglior testo quindi è stato un viaggio di successo. Ci siamo fatti Sanremo-Milano in macchina io e lui. Da quella macchina siamo usciti tutti e due più grandi perché mi ha fatto sentire la sua musica. Mi ha fatto sentire tutte le canzoni che io adesso ho nella playlist in più e sono utili per farne altre.

Se facevo il viaggio con un mio amico della mia età ci sentivamo Lucio Dalla, de Gregori e Ron e uscivamo dalla macchina così come ci siamo entrati. L’ho detto sulla musica ma questo vale per tutto, per l’approccio alla vita, per come la pensi, per come pensi di intraprendere il futuro. Bisogna mischiarsi perché solo così si resta attivi con la testa”.

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