I social sono ormai il nostro principale strumento politico, l’algoritmo ha soppiantato il dibattito

Le piattaforme digitali sono oggi i principali vettori di trasmissione e costruzione di valori individuali, sociali, politici e, quindi, di invasione del nostro immaginario, che sono in grado di assolutizzare la nostra opinione personale, soppiantando ogni possibilità di discorso politico. Per preservare uno spazio di dibattito democratico, sia online che offline, dobbiamo iniziare a chiederci seriamente quanto la nostra idea di democrazia sia compatibile con la società delle piattaforme per com’è attualmente. L'articolo I social sono ormai il nostro principale strumento politico, l’algoritmo ha soppiantato il dibattito proviene da THE VISION.

Gen 20, 2025 - 14:18
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I social sono ormai il nostro principale strumento politico, l’algoritmo ha soppiantato il dibattito

Uno dei molti concetti che mi sembra sia stato modificato dai passaggi generazionali, per il modo del tutto diverso in cui la mia generazione, ovvero quella degli attuali venti-trentenni, lo percepisce ed esprime rispetto alle precedenti, è senz’altro quello di coscienza politica. L’allontanamento da una politicizzazione strettamente legata all’atto del manifestare, del fare rumore, del muoversi collettivamente per cambiare lo status quo, sembra far pensare ai nati tra gli anni Sessanta e Settanta che le nuove generazioni siano geneticamente prive di questo tipo di coscienza e interesse. E il più delle volte, dato che questo modo “tradizionale” di intendere la mobilitazione continua a sembrarci l’unico adeguato in campo politico, sono la prima a provare una sorta di nostalgia irrazionale nei confronti di un’esperienza politica che non ho vissuto a pieno: quella delle strade riempite dai manifestanti, dei cortei, dei cori e delle rivendicazioni di piazza – per quanto, va detto, anche oggi esse non rappresentano affatto qualcosa di superato o abbandonato.

Nella realtà dei fatti, nonostante non si concretizzi principalmente nella forma della manifestazione, la coscienza politica giovanile è infatti tutt’altro che inesistente. Essa si è semplicemente condensata attorno a un nuovo modello, in cui la capacità di coltivare le proprie convinzioni nella dimensione privata, cercando di farvi poi corrispondere i propri comportamenti e le proprie scelte personali, ha un’importanza fondamentale. Un aspetto che mi fa sentire politicamente legata a molti miei coetanei, per esempio, è l’identificazione con una sensibilità legata a determinate tematiche di responsabilità civica – come la salvaguardia ambientale, ma anche la tutela dei diritti civili e delle libertà, o il tentativo di pensare un modo del lavoro diverso – non del tutto sovrapponibile a una precisa ideologia partitica. Si tratta dell’adesione a un insieme di valori che sono inevitabilmente anche politici, e soprattutto all’immagine di futuro possibile che ne scaturisce, e rappresenta il fondamento ideologico di un certo stile di vita, più che il potenziale motore di una rivendicazione pubblica. Un modo forse più privato e individuale di intendere la politica, ma che conserva la sua capacità trasformativa sulla realtà, anche perché oggi dispone di nuovi canali di espressione come internet e i social.

Al di là del fatto che questo sistema di valori si rifaccia a principi conservatori, progressisti, moderati o radicali, è indubbio che, in un contesto di privatizzazione della coscienza politica, internet e i social siano diventati uno strumento molto potente, che serve da un lato per informarsi su ciò che accade attorno a noi, ma ancor di più per attestare – attraverso post d’opinione, ma anche iscrizione a gruppi d’interesse, sottoscrizione di petizioni online, o sostegno a creator che si occupano di attivismo – la propria adesione a questa o quell’idea di mondo, di società, di giustizia. Le piattaforme digitali, in sostanza, sono oggi i principali vettori di trasmissione e costruzione di valori individuali, sociali, politici e, quindi, di invasione del nostro immaginario, che sono in grado di colonizzare esponendoci a un certo pensiero, fino a farcelo percepire come qualcosa di nostro, di cui siamo sempre stati convinti. 

Se è vero, dunque, che gli interventi sull’immaginario collettivo sono sempre stati condizione necessaria, ma mai sufficiente, alla conquista e alla conservazione del potere, questo nuovo modo di intendere la coscienza politica tende però a rendere sempre più rilevanti quelli operati attraverso i social, sia in senso positivo che negativo. Ciò che risulta esponenzialmente aumentato, anche se spesso tendiamo a sottovalutarlo, è infatti il peso e l’influenza che i contenuti di cui fruiamo hanno sulla costruzione delle nostre convinzioni ideologiche, e di conseguenza anche sul nostro modo di agire. Avendo quindi sottostimato la capacità dei social di plasmarci, li abbiamo resi il nostro principale strumento politico senza tenere conto del fatto che essi non sono uno strumento neutro. Le loro dinamiche interne – tra cui la promozione di contenuti sempre più semplici e brevi, la tendenza dell’algoritmo a consigliare soltanto ciò che è affine ai nostri gusti, l’impossibilità di controllare le fonti di ogni reel o post che appare sul nostro feed – hanno inevitabilmente influito sul nostro approccio a questi temi, restituendoci un discorso politico masticato dai trend e digerito in forma di content, che rischia di rivelarsi inadatto alla conservazione del dibattito e della democrazia.

L’intreccio sempre più stretto tra le evoluzioni dei social e l’andamento del discorso politico è testimoniato, tra le notizie più recenti, dall’endorsement di Mark Zuckerberg nei confronti di Donald Trump, in seguito alla sua vittoria delle elezioni presidenziali statunitensi. La scelta del CEO di Meta di rimuovere prima il fact-checking e poi i programmi di inclusione e diversità dalle piattaforme che ha in gestione è infatti un chiaro segnale di riposizionamento della sua Big Tech in senso ideologico, un allineamento alla volontà trumpiana di far passare la libertà di offesa e discriminazione, così come la diffusione di notizie false, distorte o di contenuti antiscientifici, per libertà di espressione – alimentando una tendenza internazionale delle forze di destra che ha preso il nome di “fascismo della libertà”. Nel caso di Zuckerberg c’è quindi una scelta politica precisa, un tentativo esplicito di far convergere l’attività di Meta con gli interessi di Trump. Ma esistono, per tutte le piattaforme, anche delle dinamiche di funzionamento interne che fanno passare messaggi politici in modo più sottile, e non sempre del tutto controllabile, tanto da venire sfruttate da figure pubbliche – spesso con una linea comunicativa di destra, quando non chiaramente estremista – per fare presa sull’utenza, veicolando la propria convinzione ideologica in modo tutt’altro che trasparente.

Mark Zuckerberg

Un primo meccanismo che agisce in tal senso è legato alla cosiddetta “TikTokkizzazione” delle varie piattaforme, che a seguito dell’enorme successo dell’app cinese hanno iniziato a imitare la sua modalità di diffusione dei contenuti, proponendo principalmente reel di pochi secondi dall’alto impatto emozionale. In questo modo, su praticamente tutti i social, alternati ai reel di gattini, ricette, e di interviste spezzettate che rimandano a puntate ben più lunghe di vari video-podcast, compaiono anche immagini di interventi in Parlamento, messaggi di figure istituzionali che comunicano attraverso il loro profilo, e più in generale contenuti a tema politico proposti da altri utenti o creator. Gran parte dell’espressione politica, dunque, si mischia all’intrattenimento durante le nostre sessioni di scrolling e ne assorbe i codici: è breve, spesso umoristica, sensazionalistica, intrisa di riferimenti alla cultura pop, e tende a inquadrare le questioni politiche dal punto di vista personale dell’autore del contenuto, senza alcun distacco, rendendo l’opinione tutto ciò che abbiamo di significativo – anche se il più delle volte questa non è supportata da dati accertati e non proviene da fonti verificate.

Ad accentuare ulteriormente questa assolutizzazione dell’opinione personale, inoltre, c’è l’effetto algoritmo, che tracciando le interazioni degli utenti su social per proporre un’esperienza il più possibile personalizzata, tende a chiuderci in una sorta camera di risonanza isolata e totalizzate, dove si crea un senso di comunità o identità condivisa che spinge a rimanere sulla piattaforma, ad affezionarcisi, ma annulla qualsiasi tipo di dibattito o contraddittorio – che invece resisteva, nonostante tutte le criticità del caso, nelle sezioni commenti di Facebook o Youtube. Ciascun utente, quindi, finisce per muoversi esclusivamente in una sorta di recinto ideologico – che l’algoritmo crea e rafforza proponendo contenuti che ne confermano i valori e i principi politici fondanti – senza vedere mai cosa c’è fuori.

Non è difficile immaginare come queste dinamiche di funzionamento, che privilegiano messaggi semplici, stringati e carichi di emotività, favoriscano la linea comunicativa della destra, soprattutto quella populista. Esse infatti sono facili da adattare al modello di politico intrattenitore e influencer che ha preso piede negli ultimi trent’anni, e tendono di conseguenza a dare maggiore visibilità a quelli che sono i “migliori comunicatori” sulla piattaforma, avvicinando per forza di cose molti utenti al loro pensiero politico, qualunque esso sia. Gli esempi di leader populisti che sono riusciti a rendere i social un catalizzatore del consenso sono ormai molteplici: dall’imprevisto successo di Călin Georgescu (candidato filorusso di estrema destra) alle ultime elezioni presidenziali romene, che molti considerano diretta conseguenza della sua linea comunicativa su TikTok; ai meme di Jordan Bardella, che scatenano ondate di commenti positivi dei potenziali elettori, quasi si fosse creato un fandom del presidente del Rassemblement National; passando per la strategia ormai consolidata di Meloni, che ha imparato a crearsi un’immagine social ultra-pop per mascherare la vena intollerante, reazionaria e nofascista del suo governo. Queste operazioni online rappresentano a tutti gli effetti una leva del consenso, che permette ai politici di raggiungere anche la fascia anagrafica che non bazzica i media tradizionali. E considerando che all’abilità delle destre nel manovrare questi strumenti comunicativi si sta aggiungendo una crescente disponibilità delle piattaforme ad assecondare gli interessi di questa parte politica, le conseguenze per la democrazia potrebbero essere disastrose.

Călin Georgescu

Nonostante le piattaforme, da parte loro, cerchino di ridimensionare la percezione della portata di questi cambiamenti evidenziando come i social abbiano messo in contatto molti utenti con la loro coscienza politica, questo tipo di partecipazione, a seguito delle recenti scelte delle Big Tech, non può più rappresentare l’unica unità di misura di un corpo civico sano. I social, per loro funzionamento, tendono infatti a immergerci nella nostra personale sfera di autoaffermazione, delegando agli algoritmi la scelta dei contenuti a cui accediamo per formarci un’opinione. Ma aggirare in questo modo la fatica del dibattito – anche a livello introspettivo, evitando di entrare in contatto con punti di vista che potrebbero farci cambiare idea – aumenta il rischio di diventare preda della retorica della destra, o, all’opposto, quello di chiuderci nella nostra bolla online fino a non renderci più conto di quanto essa sia proliferata.

Per preservare uno spazio politico democratico, sia online che offline, dobbiamo iniziare a chiederci seriamente quanto la nostra idea di democrazia sia compatibile con la società delle piattaforme per com’è attualmente, riconoscendo nei social il fondamentale strumento di soft power che rappresentano ormai da tempo. Dal momento che questo processo di “piattaformizzazione” ha già effetti tangibili su gran parte dei settori nevralgici della nostra società, infatti, serve che ci interroghiamo su quanta della nostra autonomia di scelta e della nostra coscienza politica siamo ancora disposti a cedere alle strategie delle Big Tech, o ai nuclei di potere di cui queste fanno gli interessi, soprattutto quando la loro ideologia non ci rappresenta. La possibilità di tutelare i nostri diritti, oggi, passa soprattutto dal chiedersi se e quanto fare politica online possa bastare a far sentire davvero la nostra voce. Prima che l’influenza di una destra che, almeno nella nostra bolla social, siamo riusciti a rendere invisibile, non si prenda tutto quello che c’è fuori.

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