I bruchi contro l’inquinamento da plastica: una soluzione meno efficace di quanto si sperasse

L’inquinamento da plastica è una sfida globale in continua crescita, che non risparmia l’Africa. Sebbene il continente produca solo il 5% della plastica mondiale, l’aumento dell’uso di materiali monouso sta trasformandolo nel secondo più inquinato al mondo. Di fronte a questa emergenza, i ricercatori dell’International Centre of Insect Physiology and Ecology (icipe) sembravano aver individuato...

Gen 23, 2025 - 21:11
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I bruchi contro l’inquinamento da plastica: una soluzione meno efficace di quanto si sperasse

L’inquinamento da plastica è una sfida globale in continua crescita, che non risparmia l’Africa. Sebbene il continente produca solo il 5% della plastica mondiale, l’aumento dell’uso di materiali monouso sta trasformandolo nel secondo più inquinato al mondo. Di fronte a questa emergenza, i ricercatori dell’International Centre of Insect Physiology and Ecology (icipe) sembravano aver individuato un approccio innovativo per affrontare il problema.

Secondo uno studio pubblicato su Scientific Reports di cui ci eravamo già occupati, infatti, le larve di Alphitobius diaperinus, una specie di coleottero scuro originaria dell’Africa, sono in grado di consumare fino al 50% del polistirolo, un tipo di plastica largamente utilizzato in imballaggi e contenitori monouso.

Così i ricercatori hanno creduto che si fosse arrivati ad una soluzione innovativa al problema dell’inquinamento da plastica. Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che questa speranza potrebbe essere stata mal riposta. Sebbene le larve di alcune specie, come il bruco della cera (Galleria mellonella), mostrassero la capacità di “mordere” la plastica, i risultati non sono all’altezza delle aspettative.

La dieta era insostenibile per il loro metabolismo

I bruchi, attratti dalla somiglianza tra plastica e cera – una delle loro fonti di cibo naturali – hanno dimostrato di poter rosicchiare materiali come il polistirolo. Il vero problema è emerso però quando si è analizzato ciò che rimaneva dopo: microplastiche, frammenti ancora più piccoli e difficili da gestire rispetto al materiale originale.

Inoltre questi insetti non ottenevano alcun valore nutrizionale dalla plastica, rendendo la “dieta” insostenibile per il loro metabolismo. In pratica, per i bruchi la plastica era come mangiare carta: viene ingerita ma senza apportare benefici, né per loro né per l’ambiente.

Il professor Gustav Vaaje-Kolstad, esperto di biotecnologia, sottolinea che i primi studi non erano abbastanza precisi. Ha spiegato che per una ricerca valida, i risultati devono essere ripetibili da altri ricercatori, ma questo non è stato il caso dei bruchi. E così le aspettative iniziali si sono rivelate eccessive. Nonostante ciò, gli studi hanno ispirato ulteriori ricerche per sviluppare metodi più efficaci di degradazione della plastica.

Il problema centrale è legato alla struttura chimica della plastica, composta da lunghe catene di molecole simili a “collane di perle”. Per poter riciclare questi materiali, è necessario spezzare queste catene nei loro elementi più piccoli, un processo ancora complesso e costoso.

Vaaje-Kolstad rimane comunque ottimista sul futuro. Anche se i bruchi non possono essere la soluzione definitiva, gli scienziati continuano a studiare metodi innovativi per degradare la plastica in modo sostenibile. L’obiettivo a lungo termine è produrre materiali che possano essere facilmente scomposti e riutilizzati, riducendo così la necessità di produrre nuova plastica.

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Fonte: Scientific Reports

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