Come l’effetto Mandela influenza la politica, facendoci credere che falsi ricordi siano la verità
L’effetto Mandela non è altro che un falso ricordo condiviso da un gruppo più o meno grande di persone. Pur non essendo un processo direttamente collegato alle fake news, è probabile che tra le cause ci sia anche il condizionamento per notizie mal recepite o diffuse con insistenza. In Italia l’effetto Mandela ha condizionato molte dinamiche politiche, soprattutto a destra, tra cui alcune che hanno contribuito alla formazione dell’attuale governo. L'articolo Come l’effetto Mandela influenza la politica, facendoci credere che falsi ricordi siano la verità proviene da THE VISION.
Mi capita spesso di parlare di Silvio Berlusconi, non posso farne a meno. Dunque l’altro giorno ne discutevo con alcuni miei amici e tutti ricordavamo in modo nitido il suo numero di condanne in via definitiva: una. Numero viziato da prescrizioni, amnistie, archiviazioni e leggi ad personam, ma ufficialmente resta quello. Ciò che mi ha sorpreso è che molti di loro ricordassero sì l’unica condanna su decine e decine di processi, ma erroneamente la associassero al “bunga bunga”. Ho dunque fatto ricerche su forum online e commenti sui social e questa percezione si è allargata da pochi miei amici a tantissime persone, come se ci fosse un bug di memoria collettivo. “L’hanno condannato perché gli piaceva la fica” è più o meno il riassunto di quello che ho letto. Tralasciamo il fatto che i filoni dei processi legati alle “cene eleganti” non si siano ancora conclusi e che diversi personaggi della galassia berlusconiana siano già stati condannati per reati come favoreggiamento della prostituzione, non è questo il punto. È singolare semmai il fatto che molti abbiano rimosso il reale motivo della condanna, ovvero frode fiscale. È uno dei pochi casi in cui non si può catalogare questo fenomeno come fake news o bufala, pur basandosi comunque su qualcosa di falso. Si tratta dell’effetto Mandela, e senza rendercene conto influenza la nostra vita e diversi ambiti, come la politica.
L’effetto Mandela non è altro che un falso ricordo condiviso da un gruppo più o meno grande di persone. Il nome, coniato dalla studiosa Fiona Broome, deriva dal fenomeno che ha portato diversi soggetti in tutto il mondo a credere che Nelson Mandela sia morto in carcere. Imprigionato durante l’apartheid in Sudafrica, in realtà Mandela uscì di prigione, vinse il premio Nobel per la Pace nel 1993, l’anno successivo fu eletto presidente del suo Stato – il primo sudafricano non bianco a raggiungere quella posizione – e morì a casa sua, nel 2013, all’età di 95 anni. I falsi ricordi sono studiati da decenni nell’ambito psicologico e di solito riguardano esperienze personali, come per esempio episodi della nostra infanzia che modifichiamo nel tempo o che non sono mai avvenuti. In questo caso i motivi di tale distorsione mnemonica possono dipendere anche da una rimozione inconscia di alcuni dettagli o da un meccanismo di protezione del sé. Per quanto riguarda l’effetto Mandela, invece, la particolarità sta nella condivisione di certe memorie errate fino a perdere l’individualità del fenomeno. Pur non essendo un processo direttamente collegato alle fake news, è probabile che tra le cause ci sia anche il condizionamento per notizie mal recepite o diffuse con insistenza, in aggiunta all’autoconvincimento e a processi del nostro cervello ancora insondabili e legati più ad associazioni errate di immagini e pensieri. Può sembrare bizzarro, ma questo intricato fenomeno della mente ha contribuito persino alla formazione dell’attuale governo italiano.
L’effetto Mandela applicato alla politica di oggi nel nostro Paese riguarda soprattutto due personaggi: Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Prendiamo il caso Meloni: per il fatto di essere stata l’unica all’opposizione durante il governo Draghi, nell’immaginario collettivo si è creato quell’alone di novità, lo stesso che porta una fetta di elettorato a “provarli tutti”, votando ogni volta nomi diversi con la speranza di azzeccarne prima o poi uno giusto. Dunque, per molti, Meloni era quella che non era mai stata al governo. In realtà non è così. Durante l’ultimo governo Berlusconi, creato in seguito alle elezioni nazionali del 2008 e composto da una coalizione simile a quella attuale – Forza Italia, Lega e Alleanza Nazionale – Meloni era addirittura ministra. Della Gioventù, per l’esattezza (già all’epoca amavano dare ai ministeri dei nomi un po’ nostalgici). Anche in questo caso non si tratta di una fake news, in quanto Meloni non ha mai rinnegato quell’esperienza – disastrosa, con il governo caduto a un passo dal default dell’intero Paese – e non ha di certo dichiarato di non essere mai stata ministra. Forse per la giovane età, visto che alla sua prima esperienza al governo aveva soltanto trentun anni, gran parte della popolazione non ha associato il suo nome a quell’esecutivo. In tal modo è stata votata in massa come volto nuovo, conferendole una verginità politica che invece non le apparteneva.
L’effetto Mandela relativo a Salvini ha invece più punti di contatto con la falsa informazione. Soprattutto durante la scorsa campagna elettorale per le elezioni nazionali, una parte del popolo leghista ha creato un falso ricordo in relazione all’esperienza del leader leghista come ministro dell’Interno del governo Conte I. Nello specifico è la convinzione che da ministro Salvini avesse “chiuso i porti”. Qui Salvini è stato più subdolo di Meloni, perché ha giocato su questo vuoto di memoria pur non potendolo dichiarare mai ufficialmente, visto che gli stessi dati diramati dal Viminale quando c’era lui a presiederlo parlavano di migliaia di sbarchi sotto il suo mandato. Non potendo far leva su numeri inesistenti, Salvini ha comunque trovato il modo per abbindolare il suo elettorato grazie al ruolo da martire per il processo Open Arms, da cui è stato assolto all’esito del giudizio di primo grado, che ha usato per ribadire un concetto: “Ho difeso i confini del mio Paese”. In realtà l’intervento si è limitato a tenere in mare aperto un’imbarcazione con esseri umani all’interno mentre tante altre sbarcavano sulle nostre coste, sia clandestinamente che tramite la Guardia Costiera. Quindi, in questo caso, c’è un mix tra la manipolazione propagandistica delle iniziative assunte e dei loro esiti, il suo vittimismo strumentale e l’effetto Mandela – quest’ultimo riconducibile solo al discorso dei porti chiusi. Addirittura il falso ricordo si è attivato anche in persone di sinistra, timorose di riavere al potere uno xenofobo che in passato ha “chiuso i porti”. Sulla sua xenofobia latente o esplicita possiamo anche concordare, ma i porti, come detto, non ha mai potuto chiuderli – per fortuna.
È probabile che la destra avrebbe comunque vinto alle ultime elezioni, eppure l’effetto Mandela – soprattutto nel caso di Meloni – ha condizionato il destino del Paese. Anche perché se fosse stata percepita come “la ministra di uno dei peggiori governi della storia repubblicana” invece che come “l’unica che non è mai andata al governo”, nell’immaginario collettivo sarebbero svanite le dinamiche riconducibili al fascino della novità. Se però con le fake news si spera che prima o poi si possano prendere le contromisure, con l’effetto Mandela le armi a disposizioni sono molte meno, essendo la memoria difficilmente manovrabile a comando o capace di ricalibrarsi. Inoltre, pur essendo un fenomeno collettivo, ha sfumature individuali nella selezione dei falsi ricordi. A me, per esempio, è successo per la famosa immagine dell’uomo che “ferma i carri armati” nel 1989 dopo il massacro in piazza Tienanmen a Pechino. Sin da quando ero bambino ho visto quel video e quella foto, all’inizio convinto che quell’uomo avesse impedito l’avanzata dei carri armati, poi che fosse stato ucciso. In realtà ero condizionato da una visione parziale del video, perché quello integrale mostra come l’uomo – chiamato poi “Rivoltoso Sconosciuto” in quanto ancora anonimo – sia stato portato via da due misteriosi individui vestiti di blu. E i carri armati hanno proseguito il loro tragitto senza intoppi. Nessuno sa che fine abbia fatto il Rivoltoso Sconosciuto: il governo cinese ha detto che non è stato giustiziato, alcune fonti statunitensi sì, mentre secondo altre ricostruzioni è fuggito a Taiwan o è stato incarcerato per diciotto anni per poi finire in un ospedale psichiatrico. A prescindere dal suo destino, l’immagine che per anni ho avuto nella testa non corrispondeva alla realtà.
I falsi ricordi sono inoltre più comuni quando si assiste a un evento di portata mondiale e aumentano in base al livello di sconvolgimento. Uno studio pubblicato sulla National Library of Medicine mostra come diversi individui abbiano sviluppato nel tempo delle incongruenze della memoria in relazione all’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre del 2001. Ai partecipanti dell’esperimento è stato chiesto pochi giorni dopo quell’evento cosa stessero facendo in quel momento e in che modo avessero appreso la notizia. L’anno dopo, il 40% degli intervistati ha dato una versione diversa. Io stesso mi rendo conto di essere stato vittima di effetto Mandela su questo argomento. Per anni il mio ricordo era associato alla casa di un mio amico, noi a vedere la Melevisione, l’interruzione del programma per trasmettere l’immagine della prima torre in fiamme e poi l’aereo a colpire l’altra. In realtà, col tempo mi sono accorto di come questo non fosse possibile, visto che nel 2001 avevo già 13 anni e di certo non seguivo più la Melevisione. Credo di essere stato condizionato dalla cultura di massa, dagli innumerevoli articoli su una generazione sotto shock per il passaggio da Tonio Cartonio al crollo delle torri. Riguardava però persone più piccole di me, e mi sono appropriato di una memoria altrui.
Possiamo definirli degli strani giochi della mente o dei meccanismi neurologici; sta di fatto che i falsi ricordi e l’effetto Mandela non possono essere sottovalutati. Finché galleggiano nel limbo della confusione su una visione dell’infanzia il loro potere nocivo è limitato, ma abbiamo visto come possano anche influenzare l’andamento di un’elezione, la percezione di un protagonista della nostra vita politica e persino la sua fedina penale. La fine della loro influenza si avvicina molto a quella delle fake news: ci si accorge che abbiamo dato credito a qualcosa di errato – la nostra stessa memoria per l’effetto Mandela, le parole di un politico o le conseguenze della propaganda per le fake news – e ci troviamo di fronte a un bivio: rinsavire e prendere coscienza dello sbaglio o rendere reale la menzogna. Purtroppo viviamo in un’epoca in cui l’orgoglio personale e ogni aspetto della società ridotto a “tifo” ci tengono aggrappati al falso ricordo o alla falsa notizia. Siamo disposti a ripeterci la stessa bugia fino a renderla una verità. Dunque Berlusconi è stato condannato perché amava troppo le donne e Mandela è morto in carcere. È facile che tra qualche anno qualcuno parlerà di un fantomatico blocco navale messo in atto da Meloni e di Lollobrigida mai stato al governo. Tanto ormai vale tutto.
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